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Intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della cerimonia per lo scambio di auguri di fine anno con il Corpo Diplomatico

auguri

Palazzo del Quirinale, 12/12/2025 

Eccellentissimo Decano,

Signore e Signori Ambasciatori,

rivolgo un saluto al Vice Ministro, al Presidente della Commissione parlamentare, ai Sottosegretari.

Ringrazio il Decano, Monsignor Rajič per le riflessioni con cui ha dato avvio a questo incontro e per gli auguri che ha voluto rivolgere alla Repubblica Italiana e a me, a nome del Corpo Diplomatico qui accreditato.

Ricambio con sincera riconoscenza.

Viviamo in un’epoca nella quale l’ordine internazionale che conoscevamo vacilla, senza che si intraveda, nell’immediato, un’alternativa.

Logiche di potenza e di sopraffazione cercano di prevalere mentre valori che credevamo affermati – la dignità della persona, i diritti umani, l’eguaglianza tra i popoli e gli Stati, la solidarietà – appaiono sovente accantonati.

Ottanta anni or sono, la comunità internazionale si è ricostituita intorno a valori sanciti solennemente dalla Carta delle Nazioni Unite, poc’anzi ricordata dal Decano.

Sensibilità diverse, storie diverse, popoli di continenti diversi ebbero a unirsi nel proporsi, tra l’altro – come è scritto nella Carta – di:

  • “salvare le future generazioni dal flagello della guerra”
  • “riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole”
  • “creare le condizioni in cui la giustizia e il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti”.
  • “praticare la tolleranza e vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato”

Su queste premesse, abbiamo avuto un percorso sempre positivo?

Certamente no. La cristallizzazione intorno a equilibri di forze contrapposte ha congelato, per un lungo periodo, parte delle potenzialità delle indicazioni del testo di cui ho ricordato alcuni punti.

Eppure, in questo arco di tempo, molto si è visto di positivo nella vita internazionale.

Numerosi popoli hanno conquistato la loro indipendenza.

L’umanità ha vissuto amplissimi progressi sul terreno della eguaglianza.

Cause comuni hanno saputo unire il pianeta intorno a obiettivi fondamentali: la lotta alla fame, la promozione della salute, la difesa delle risorse e dell’ambiente della Terra, il riconoscimento dei diritti delle donne, per citarne soltanto alcuni.

Il controllo della corsa agli armamenti, in particolare di armi di distruzione definitiva, come quelle nucleari, aveva conosciuto risultati significativi.

Nel contesto attuale, si rende necessario ribadire con forza che l’uso o anche la sola concreta minaccia di introdurre nei conflitti armamenti nucleari appare un crimine contro l’umanità.

Cosa è accaduto, cosa sta accadendo se protagonisti di primo piano del “vecchio” ordine internazionale si propongono, con i loro comportamenti, di dare vita a un “nuovo ordine”, basato su sopraffazione con ogni mezzo, violenza, guerra, conquista, competizione tra gli Stati per l’accaparramento di risorse, tentando, così, di perpetuare diseguaglianze tra i popoli?

Va respinta l’ipotesi che possano essere questi i valori intorno a cui costruire un “nuovo ordine”.

Con il corollario del ritorno dei “soldati di ventura”, di mercenari chiamati a guerreggiare, per conto terzi, in Paesi lontani, senza motivazioni che non siano, appunto, quelle della prepotenza verso i civili e verso i Paesi meno strutturati per opporvisi, meno capaci di difendersi.

Il Decano, Nunzio Apostolico, ha ricordato l’alta esortazione di Papa Leone XIV per una pace disarmata.

Il venir meno dell’equilibrio nella vita internazionale è sempre stato l’anticamera della guerra perché induce alla tentazione della prevaricazione, di fronte alla quale si pone l’alternativa: assecondarla e inchinarvisi, scelte che conducono alla guerra o all’asservimento, ovvero contrastarla e ripristinare l’equilibrio per scongiurare la guerra.

Sono la prevalenza del diritto, il rispetto delle regole che la comunità internazionale si è data, a scongiurare il conflitto, a favorire il superamento delle diseguaglianze.

È stata la strada intrapresa, pur tra tante contraddizioni, per molti anni.

È l’orizzonte indicato dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

Era – e rimane – la speranza del mondo e, nei primi due decenni di questo millennio, pensavamo di poterla conseguire.

Ma questa prospettiva è stata bruscamente dissolta poco meno di quattro anni fa.

Un protagonista della comunità internazionale, la Federazione Russa, ha, sciaguratamente, scelto di travolgere questo percorso ripristinando, con la forza, l’antistorica ricerca di zone di influenza, di conquista territoriale, di crudele prepotenza delle armi.

Le generazioni globali che lottarono contro il nazifascismo in Europa, contro il colonialismo, contro i totalitarismi per rivendicare libertà e diritti, spesso anche a costo della vita, ricercando un progetto di collaborazione sfociato nella creazione dell’Onu – il più ambizioso tentativo nella storia dell’umanità di dare una cornice di regole alle relazioni internazionali – rischiano, quelle generazioni, di vedere infranti, i loro sacrifici.

Un sistema, costruito per assicurare garanzie di pace e di convivenza – riflesso di equilibri lungamente discussi e negoziati –, entra in crisi quando qualche protagonista della vita internazionale lo infrange, ritenendo che non sia più funzionale alla prevalenza dei propri interessi, talvolta ondivaghi, e che questi debbano prevalere sui valori condivisi e sulle esigenze degli altri Paesi.

Entra in crisi quando si accampano presunte – e spesso fallaci – esigenze di sicurezza per alterare la bilancia strategica.

Il principio non può essere muovere guerra per fare la pace: è paradossale.

Appare insensata la pace evocata da parte di chi, muovendo guerra, pretende in realtà di imporre le proprie condizioni.

Un principio rimane fondamentale e insuperabile: gli interessi nazionali o particolari non possono prevalere rispetto alla tutela del valore universale della persona umana, fondamento sostanziale di ogni altro diritto e conquista del nostro tempo.

La misura – va ripetuto – è la persona, restituendole dignità – a partire dal diritto alla vita negato dai conflitti – nella politica, nell’economia, nella lotta al cambiamento climatico e nell’innovazione tecnologica.

Anche per questo, un sistema ideato nel 1945 richiede palesemente di venire adeguato alla necessità di riflettere le condizioni odierne della comunità internazionale, di essere improntato a maggiori rappresentatività e democraticità, dando spazio effettivo ad aree del mondo che, oggi, non lo vedono riconosciuto.

A partire dal secondo dopoguerra, i Paesi d’Europa – luogo che ha originato due Guerre Mondiali – giorno dopo giorno, anno dopo anno, hanno dato vita a organismi – oggi raccolti nell’Unione Europea – che hanno operato affinché l’equilibrio delle armi – strategia che caratterizzava la cosiddetta Guerra Fredda – venisse sostituito dall’equilibrio della collaborazione, degli obiettivi di benessere condivisi, della costruzione di fiducia reciproca. Offrendo questa piattaforma all’intera comunità internazionale.

L’Unione Europea – una delle più riuscite esperienze di pace tra i popoli e di democrazia – è nata e si è ampliata nella costante ricerca della pace – ripeto – e della libertà, garantite, nel proprio ambito, in base a Trattati liberamente stipulati dai popoli europei, che ne hanno ricavato diritti e benessere.

La storia insegna che, nei rapporti internazionali, dinamiche puramente bilaterali pongono il più debole alla mercé del più forte. Non è accettabile la pretesa che quelle dinamiche tornino a essere la misura dei rapporti tra popoli liberi.

La libera condivisione di principi e di norme non è una gabbia che costringe, ma un sostegno che tutela, soprattutto i più deboli.

Non sorprende che vengano contestate da corporazioni internazionali che si espandono pretendendo di non dover osservare alcuna regola: questa non sarebbe libertà ma arbitrio.

Nei settantacinque anni dalla Dichiarazione Schuman – lungimirante avvio dell’integrazione europea – vi è stato realizzato un inedito spazio di valori comuni che ha saputo garantire ben oltre la coesistenza pacifica, la collaborazione tra i suoi membri e le aspirazioni dei suoi cittadini a diritti e libertà, elementi che hanno permesso al continente di svilupparsi e di progredire.

Il processo di integrazione non si è ancora concluso e affronta oggi nuove sfide, e conferma la sua attrattività.

Le ambizioni e gli sforzi, le volontà di popoli nostri vicini – dai Balcani Occidentali alla Moldova, dall’Ucraina alla Georgia – devono essere accompagnate da una attiva disponibilità dell’Unione ad accoglierli.

Il carattere positivo di queste nostre esperienze non ci consente di scivolare nell’indifferenza per quel che avviene nel mondo e che pone in discussione diritti, libertà e opportunità di sviluppo. Con conflitti che, con il loro protrarsi, gettano pericolosi semi di odio che rischiano di compromettere anche l’avvenire di quelle popolazioni.

È il quarto Natale di guerra per il popolo ucraino.

Si moltiplicano gli attacchi russi alle città e alle infrastrutture civili ed energetiche. Le vittime civili sono sempre più numerose.

L’Europa e l’Italia restano saldamente al fianco dell’Ucraina e del suo popolo, con l’obiettivo di una pace equa, giusta, duratura, rispettosa del diritto internazionale, dell’indipendenza, della sovranità, dell’integrità territoriale, della sicurezza ucraine.

Il pensiero è costantemente rivolto anche al destino dei popoli del Medio Oriente. A quello della Striscia di Gaza, martoriata per due anni da inumana violenza, innescata dalla barbarie di Hamas e alimentata da una lunga guerra. Si sono aperti spiragli importanti: molto resta ancora da fare per consolidare il cessate-il-fuoco ed evitare che si dissolva, per ripristinare anche pienamente gli aiuti umanitari a una popolazione stremata, per avviare la ricostruzione.

L’auspicio più ampio resta quello di vedere affermarsi nella regione mediorientale pace e stabilità. Questi traguardi non possono prescindere dalla pacifica coesistenza, nella sicurezza, dei popoli israeliano e palestinese, nella cornice della soluzione a due Stati, che occorre sostenere e difendere da qualsiasi tentativo di comprometterne la praticabilità. Non ve ne sono altre.

Questi conflitti non inducono a eclissarne altri, che esistono.

Penso al Sudan, dove è in corso la più grave crisi umanitaria al mondo, con oltre 30 milioni di persone bisognose di assistenza di base e 12 milioni di sfollati, di cui un terzo rifugiati nei Paesi vicini. Penso alla fragile situazione di alcune regioni dell’Africa centrale, e del Corno d’Africa, le cui popolazioni hanno a lungo sofferto l’impatto non solo di conflitti, ma anche di traffici di ogni genere e di interferenze esterne.

Penso inoltre a quei teatri – come l’arco saheliano o il Myanmar – in cui cambiamenti di governo mediante le armi e regressione democratica aggravano la condizione di intere popolazioni ostaggio di insicurezza, povertà, sottosviluppo.

L’agenda internazionale appare nutrita di conflitti, di migrazioni, di misure protezionistiche che producono contrapposizione.

Occorre riformarne le priorità: pace, sviluppo, eguaglianza, sicurezza alimentare, contrasto alla povertà, al cambiamento climatico, collaborazione nel libero commercio.

Non è accettabile un mondo con pochi predestinati seduti a banchetto e molti altri destinati a sperare di ricavarne alcune briciole.

Eccellentissimo Decano,

Signore e Signori Ambasciatori,

per dare speranza al futuro dell’umanità occorre un rinnovato sforzo collettivo, che riesca a garantire che la dignità degli uomini e degli Stati sia salvaguardata, in una cornice di convivenza pacifica e di rispetto del diritto internazionale.

Con coraggio vanno difese le ragioni di un ordinamento internazionale equo e sostenibile.

Un’opera in cui non può mancare il contributo della diplomazia, costruttrice di dialogo e di ponti tra Stati, governi, popoli.

Vi ringrazio per il vostro quotidiano impegno e operato a favore dei legami che uniscono i vostri Paesi e la Repubblica Italiana e rinnovo a voi, alle vostre famiglie e ai popoli che rappresentate, i migliori auguri per le festività natalizie e per l’Anno Nuovo.

Link al sito ufficiale del Quirinale https://www.quirinale.it/elementi/146459